Il lettore conosce ragioni che un contratto editoriale non conosce
Chi beve
solo acqua ha un segreto da nascondere, scriveva Baudelaire, e in molti
potrebbero credere che una frase del genere calzi a pennello a quegli autori
che si affidano a un ghostwriter per scrivere il proprio libro.
Esiste una
visione giustizialista nei confronti di chi sceglie di lasciare la pagina a uno
scrittore più esperto, capace, forse persino più redditizio, invece di
sporcarla con un inchiostro dai tratti incerti. Un ghostwriter? E perché mai?
Il mio libro me lo scrivo da sola.
E fin
qui… che c’è di male?
Peccato
che, se volessimo prendere alla lettera una tesi del genere, dovremmo eliminare
dagli scaffali delle librerie il più bel libro che sia mai stato scritto sullo
sport: Open di André Agassi. Sì,
proprio “di André Agassi”, nonostante sia altamente improbabile che delle
centinaia di pagine che raccontano la storia del Kid di Las Vegas anche solo
una frase sia stata scritta dal diretto interessato. Open – romanzo? Saggio sul tennis? Storia d’amore? Memoir dai
notevoli sbalzi emotivi? Tutto questo insieme e qualcosa in più – è stato
scritto da J. R. Moehringer, uno dei ghostwriter più popolari al mondo. Un uomo
che, oltre a essere un autore, si è contraddistinto per la sua versatilità come
scrittore fantasma: penna al servizio (remunerato) del prossimo. Senza di lui
non sarebbe mai esistito Open.
È interessante
notare come Moehringer non sia capitato per caso al fianco di Agassi: il
delicato legame paterno, di cui ha parlato in diverse interviste, sembra avere
dei punti in comune con il controverso rapporto fra Agassi e suo padre, nonché
primo maestro di tennis.
Dunque
cosa fa un ghostwriter?
Avendo
svolto questo mestiere per oltre quindici anni, posso dire che la prima
questione è l’ascolto. Si ascoltano storie, vite intere o idee, germogli da cui
si vuole tentare la grande impresa: scrivere un libro. Si ascolta, si è
presenti.
Ma perché?
Qui entra in gioco la severa (e per certi aspetti insensata) legge secondo cui
il pubblico non gradirebbe un libro scritto da un ghostwriter.
Perché
non è spontaneo.
Falso: non
è spontaneo lasciare morire un’idea nel cassetto.
Perché è
un imbroglio.
Falso
anche questo: è un imbroglio scrivere un libro pessimo.
Perché
voglio sapere chi l’ha scritto.
Eccoci
al nocciolo della questione: la verità.
E anche
un po’ di gossip.
A
proposito: una delle questioni che ha infiammato la Francia ottocentesca è la
diatriba fra Alexandre Dumas padre e Auguste Maquet. Ah, Auguste era il
ghostwriter di Dumas.
Esatto.
Alexandre Dumas, l’autore de Il conte di
Montecristo e I tre moschettieri,
poteva contare su una penna talentuosa, quella di Maquet, uno che in vita non
ha riscosso una grande fama… e neppure dopo, considerando che oggi lo ricordiamo
per il suo prolifico e tormentato rapporto con Dumas, non di certo per le sue
poesie giovanili.
Chi ha
scritto cosa? Non conosciamo la natura del loro lavoro nei dettagli. È probabile
che le idee di Dumas venissero tradotte in narrativa da Maquet. Questo rende
le avventure di Edmond Dantès meno intriganti o “vere”?
Lasciar
scrivere un ghostwriter al proprio posto o scrivere insieme è sacrosanto se il
risultato è valido sul piano letterario. Non esistono altre regole per definire
una relazione artistica.
I cuori dei lettori conoscono ragioni che un contratto editoriale non conosce. E le librerie anche.


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